Le ville granducali
Le residenze di campagna dei granduchi sono destinazioni di grande richiamo per i viaggiatori perché collocate in quei 'dintorni' di Firenze che da subito si qualificano come il pendant più soave alla visita dei monumenti cittadini, uno spazio dotato di allettamenti ancor più ricercati rispetto all'offerta ricca, a volte opprimentemente ricca, della città. Le ville punteggiano infatti quel territorio collinare che ha fatto la fortuna della regione, soprattutto presso gli anglosassoni, quanto e più della Firenze 'Atene d'Italia'.
Le ville compaiono nei resoconti senza un preciso criterio di preferenza nei viaggiatori, che raramente specificano la loro localizzazione. Difficile evincerne un elenco di predilezioni, ma molte citazioni riguardano le residenze seguenti:
Villa Medici a Fiesole (costruita tra il 1458 e il 1461 da Michelozzo per volere di Giovanni dei Medici secondogenito di Cosimo il Vecchio) è una delle più antiche residenze rinascimentali dotate di giardino, in cui il Magnifico - che la ereditò nel 1469 dopo la prematura scomparsa del fratello - amava immergersi in contemplazioni poetiche in compagnia dei suoi ospiti. Fu qui infatti che Poliziano, che celebrò nei suoi versi le bellissime rose che crescevano nel piccolo 'giardino segreto', compose il suo Rusticus. La Villa restò alla famiglia Medici fino al 1671. Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1772 fu venduta a Lady Orford, cognata di Horace Walpole.
Poggio a Caiano, disegnata da Giuliano di Sangallo, fu il teatro di importanti avvenimenti della storia dinastica dei Medici tra cui i festeggiamenti per i matrimoni, essendo la Villa passaggio obbligato per tutte le nuove spose granducali che prima di recarsi in città vi ricevevano l'omaggio della nobiltà fiorentina. La Villa è legata in particolare alla storia da feuilleton del granduca Francesco I e della nobildonna Bianca Capello, già sua amante. Lì entrambi trovarono la morte, nell'ottobre 1587, l'una a un giorno di distanza dall'altro, e la causa probabile di una febbre terzana fu lungamente celata dai ricami della tradizione orale che tramandò la diceria di un sospetto avvelenamento. La Villa fu la residenza preferita del figlio di Cosimo III, il principe Ferdinando, grande amante delle arti, che ne fece un attivissimo centro culturale. Alla morte di Giangastone (1737), fratello di Ferdinando ed ultimo granduca dei Medici, la Villa passò ai nuovi granduchi, gli Asburgo-Lorena, che continuarono ad utilizzarla come residenza estiva o come punto di sosta durante i loro viaggi verso Prato o Pistoia. Il palazzo, secondo Cochin (1749-51), non ha «niente di magnifico» anche se in esso si trova «un prezioso gabinetto di piccoli quadri dei migliori maestri d'Italia e di Fiandre, quasi tutti molto belli», cosa questa (la presenza di una 'piccola' collezione) che accomuna quasi tutte le ville, a detta dei viaggiatori.
A Poggio Imperiale - è sempre Cochin a parlare - «benché ci sia una grande quantità di quadri, ben pochi sono degni di rilievo» ma, in compenso, «ogni camera di questo palazzo comprende studioli, pendole, tavoli costruiti con i materiali più preziosi, e i mobili, in ogni stanza, sono armonizzati nello stesso stile». Giudizio non altrettanto benevolo quello di Gibbon - 1764 - che, dopo averlo demolito punto per punto, ritiene il palazzo decisamente «poco degno del suo padrone e delle lodi che gli se ne fanno».
Careggi, ancora di Michelozzo, divenne con Lorenzo dei Medici (che vi morì nel 1492), il santuario della poesia e il cenacolo degli adoratori della filosofia antica, come sede dell'Accademia Platonica fiorentina (istituita nel 1459) animata da Pico della Mirandola, Ficino, Donatello, Brunelleschi, Leon Battista Alberti.
Primato di Pratolino
La Villa di Pratolino fra tutte, costruita tra il 1570 e il 1575 su commissione di Francesco I da Bernardo Buontalenti, che ne fece un capolavoro di bellezza e di ingegno, colpisce la fantasia dei viaggiatori di tutta Europa. Castellan (1804) afferma che «di tutte le numerose e magnifiche case di campagna dei sovrani della Toscana, quella di Pratolino è indubbiamente la più degna di nota. La natura ne aveva predisposto gli elementi, l'arte non ha fatto che metterli in opera». Il giardino accoglieva opere di straordinario impatto scenografico in una vera e propria esplosione della più raffinata cultura manierista fiorentina: foreste sempreverdi, labirinti di vegetazione, alberi e fiori tra i più belli e rari, fontane e giochi d'acque (l'acqua, in effetti, costituiva l'elemento fondamentale a Pratolino), selvaggina d'ogni specie, le celebri grotte dalle mille sorprese orchestrate dall'inventiva ingegneristica di Buontalenti (del Diluvio, della Samaritana, di Cupido, altre), voliere, la quercia animata, il tutto celato agli occhi dei viandanti per aumentarne la sorpresa quando fossero al cospetto del «castello», il cui interno faceva sfoggio di marmi preziosi, stucchi, mosaici, affreschi, quadri, statue, «insomma tutto ciò che il lusso e il gusto dei Medici avevano potuto immaginare di più ricercato». Tutto questo mondo affascinante serbava poi una 'meraviglia' dell'epoca, la colossale statua dell'Appenino, sempre opera di Giambologna, che in Castellan suscitò un vero entusiasmo: «sarebbe difficile immaginare una composizione più pittoresca e più perfetta in tutte le sue proporzioni», facendogli soprattutto apprezzare la felice sintesi realizzata dall'artista fra le regole della statuaria e quella della costruzione.
La Villa fu splendida ancora ai tempi di Ferdinando che vi costruì un teatro stabile dove invitò musicisti di fama internazionale, da Scarlatti a Händel, dove ospitò archi fabbricati da Stradivari finanziando nel contempo le ricerche di Bartolomeo Cristofori su quello che sarebbe divenuto il moderno pianoforte. Il teatro fu uno tra i migliori d'Europa ma chiuse nel 1713, alla morte del principe.
All'arrivo dei Lorena la situazione della Villa, già precaria dopo la morte del 'gran principe', precipitò. Alcune statue furono trasportate a Boboli, gli oggetti di valore a Palazzo Pitti ma il destino della Villa fu da allora irrimediabilmente compromesso.