I luoghi del potere
A. C. Valéry nel 1828, parlando di Palazzo Vecchio, fa ben comprendere come i viaggiatori percepissero l'aura del potere trasudare dai luoghi nei quali è stato per secoli esercitato. Così, in quel «vecchio palazzo, solido, severo, pittoresco», la vasta Sala del Consiglio «richiama ancora i costumi e le abitudini repubblicane di questo stato e le forme del governo». Il giudizio che esprime poi su Palazzo Pitti conferma che questa volontà di leggere nell'architettura civile del granducato i segni della declinazione del suo potere, non è casuale ma ricorrente. Il palazzo destinato a residenza granducale, infatti, se comparato all'«ardito e vecchio palazzo repubblicano della Signoria, costruito su uno spazio ristretto e prescritto dal popolo», sembra «esprimere assai bene il contrasto politico delle due epoche, e l'architettura della sua lunga facciata è triste, altera, pesante, uniforme come il potere assoluto». Il Journal dell'abate Saint-Non (1761) abborda la visita alla città proprio con Palazzo Pitti, «uno dei suoi principali edifici», raccontando che era di proprietà dei granduchi che lo abitavano quando si trovavano a Firenze, ma trattenendosi poi piuttosto sull'apprezzamento di «una delle più belle collezioni di quadri che ci sia in Europa». Gibbon nel 1764, invece, si sofferma più a lungo sull'architettura del palazzo, dimora abituale dei sovrani di Toscana da quando Cosimo il Grande la acquistò dalla Casa Pitti, stupendosi del fatto che «essendo già proprietà da due secoli dei Medici esso abbia conservato la memoria dei suoi antichi padroni e non abbia cambiato il nome Pitti in Medici». Il suo giudizio, molto articolato, si volge in complesso al positivo dichiarando l'architettura «bella, di quella bellezza che conviene alle case sovrane, grande e severa più che leggera e graziosa».
Oltre a Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti, anche la Galleria, sebbene poi entri a far parte pienamente del capitolo artistico, è in effetti considerata alla stregua di un luogo di potere, proprio come rende esplicito Mary Montagu (1740) in questo frammento di ricordo: «ho fatto subito una visita alla Galleria, a quello stupendo museo delle più preziose reliquie dell'antichità, e che da solo è sufficiente a immortalare l'illustre Casa dei Medici, dai quali fu fabbricata e arricchita come ora la vediamo». Su questo penchant artistico fonda anche de Brosses il suo giudizio oppositivo tra Medici e Lorena, a suo dire invisi al popolo: «secondo me, quella dei Medici era una famiglia assai apprezzabile per il suo amore alle cose belle [...] Firenze ha subito davvero una gravissima perdita perdendoli».