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Tempi di percorrenza

Il lusso di un viaggio molto lungo

Uno dei motivi di notorietà della guida seicentesca di Maximilien Misson (1688) risiede nella appendice intitolata Memoria per i viaggiatori. Il francese la appose al suo Voyage affrontando in essa gli argomenti più disparati e insieme, con il suo sistema di simboli per qualificare le diverse caratteristiche dei luoghi indicati, candidandosi a capostipite della idea moderna di guida. Misson raccomanda, fra l'altro, di non lesinare né sul denaro né tanto meno sul tempo da dedicare al viaggio. Ma dagli esordi, all'epoca d'oro, alla serialità del Grand Tour diventato turismo, le condizioni materiali cambiano sensibilmente. L'aureo distacco degli aristocratici viaggiatori augustei e illuministi è cosa ben diversa da «certa malcelata grettezza del viaggiatore post-napoleonico» (Brilli, 1987). Come la raccomandazione di Misson di «non lambiccarsi troppo il cervello per fare economie», risulta a quell'epoca quanto meno insolita, anche il tempo comincia a monetizzarsi e i viaggiatori imparano a non scialacquarlo in inutili ozi.

I tempi si riducono

Dalla seconda metà del Settecento, soprattutto, si assiste ad una lenta erosione del tempo prima così generosamente dedicato al viaggio, il che è anche segno che l'investimento economico dedicatovi comincia ad assottigliarsi (De Seta, 1982). Tralasciando come inarrivabili le istruzioni di Bacon che considerava periodo ideale di permanenza quello di tre anni (il periodo necessario ad apprendere la lingua!), se Montaigne, nel 1581, dedicò all'Italia oltre 10 mesi, Gibbon, nel 1764, soggiornò in Italia per ben nove mesi, Charles Burney, nel 1770, dedicò sei mesi in tutto al suo tour diviso tra la penisola e la Francia; i due mesi complessivi dedicati da Dupré al suo viaggio italiano del 1822, indicano chiaramente un'inversione di tendenza.

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