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Sezioni

La vita sociale

La parsimonia

Il carattere dei fiorentini è giudicato in modo contraddittorio. Sono considerati gentili e onesti ma la loro parsimonia, peraltro lodata perché capace di far ben fruttare il denaro, è spesso criticata.

Il barone di Montesquieu (1728) che chiama la nobiltà di Firenze «affabile» e la razza fiorentina «bella», afferma che a Firenze si vive con molta economia: «gli uomini vanno a piedi. La sera, si fanno lume con una piccola lanterna. Le donne vanno in grandi carrozze. Nelle case, quando non si gioca, l'illuminazione è data da una lampada; quando c'è poca gente, una fiamma [...]». La sua non è una critica, e lo si può dedurre dalla successiva tirata contro lo spreco di legna dei paesi d'oltralpe e dalle riflessioni sul valore di un'educazione spartana (come quella che ricevono i bambini toscani, avvezzi a case poco riscaldate). Montesquieu, però, mette in guardia dagli eccessi perché gli effetti di una parsimonia esagerata impediscono di godersi la vita.

De Brosses (1740) resta impressionato invece proprio dal lusso che i fiorentini sfoggiano in carrozze, mobili, livree ed abiti. Durante le conversazioni, cui l'autore ha partecipato ogni sera, vi sono «circa trecento dame coperte di diamanti e cinquecento uomini che indossano abiti che il duca di Richelieu si vergognerebbe di portare». Eppure sospetta che si tratti di una esibizione piuttosto che di un costume: «d'altra parte mi hanno avvertito che quegli abiti sontuosi comparivano solo nelle grandi occasioni e durano tutta la vita; quei lussi, quei balli, quelle adunate numerose e straordinarie, quelle conversazioni con tante luci, si facevano in occasione di due matrimoni di rango che avevano raccolto tutta la città...».

Cerimoniosità delle maniere

Un'altra costante del carattere dei fiorentini è la cerimoniosità e anche questo aspetto, a volte, mette a disagio i forestieri.

Misson (1688) lo annuncia tra i primi, dolendosi che, per quanto bella e ben situata sia Firenze, il soggiorno in città risulta melanconico a coloro che sono abituati a gustare le dolcezze della società. Riferisce che chi vi risiede da qualche anno non può abbastanza esprimere il dispiacere che prova per le maniere impacciate e le eterne cerimonie dei fiorentini, almeno quanto per l'invisibilità delle donne. Celebre a questo proposito, seppure in negativo, lo spietato giudizio sulle donne espresso da De Sade che le reputa «alte, impertinenti, sporche, disordinate e golose [...] esigenti e pretenziose». Deplora altresì la mania del cicisbeismo, che lascia poco spazio allo straniero che volesse entrare nelle simpatie di una dama (1776).

L'orgoglio

Un'altra manifestazione ricorrente del carattere è l'orgoglio. Smollett (1765), che afferma di avere incontrato molta gente ricca, distinta ed elegante, ritiene la popolazione eccessivamente riservata e sussiegosa: «i fiorentini affettano molta giocondità nelle conversazioni, e anche dai loro equipaggi e dai loro abiti si direbbe che amino la gaiezza ma, in verità, si tengono molto in sussiego con i forestieri e nessuna signora straniera può sperare di essere ricevuta nella loro società se la sua nobiltà non è garantita da un titolo». Smollett si scandalizza perciò del fatto che, con tutto il loro orgoglio, i fiorentini non sdegnano di abbassarsi al punto di entrare in combutta coi bottegai e anche di vendere vino al minuto. Non da meno il granduca, a dire di Evelyn (1644), che lo raffigura nella residenza di palazzo Pitti, pronto a vendere il vino che riesce a risparmiare, con i fiaschi che ingombrano persino l'androne principale (Brilli, 1993).

Vivacità dell'intelligenza e dello spirito

Unanime è invece il riconoscimento per la vivacità dell'intelligenza e dello spirito, e per quella della vita culturale cittadina. De Brosses a cui Firenze, «nel suo complesso» non è piaciuta «quanto le altre città», dice tuttavia che vi abitano «un numero maggiore [...] di persone intelligenti e di valore. Nessun'altra popolazione in Italia eguaglia i fiorentini in questo, anzi sono spesso loro che ne forniscono alle altre regioni».

Carattere dei senesi

Meno numerosi ma presenti i rilievi sul carattere e la vita di società delle altre città della Toscana. Prima fra tutte Siena, per la preferenza accordata alla città dell'aria pura, della lingua musicale, dell'affabilità dei cittadini. Boswell (1766) l'apprezzò moltissimo, considerandola priva di quella affettazione e formalità attribuite ai fiorentini. Poiché non è sede della corte vi è estranea anche l'adulazione, lusinga che seduce invece la nobiltà fiorentina. I senesi sono considerati indipendenti e fieri. Quando vi giunge in visita qualche personalità o un principe, dice Gibbon (1764), «questi è ricevuto cortesemente, ma non si affannano troppo per lui [...]».

Carattere dei lucchesi

In maniera più generica e meno partecipata si riferisce anche di Lucca, come fa Misson (1688) notando che la maggior parte dei gentiluomini parlano francese e fanno professione di civiltà verso gli stranieri, e che le signore non sono più invisibili che in molti altri luoghi d'Italia.

La gente del contado

Un'attenzione tutta speciale, colorita di venature romantiche, è quella dedicata alla gente del contado. Tanti sono i viaggiatori che si imbattono nei contadini, il cui ritratto, sempre arcadizzato, combina la bellezza, la naturalezza e spesso, anche, la grazia del linguaggio. M.me du Boccage descrivendo l'aspetto delle fanciulle dei dintorni di Firenze, snelle, ornate da arte e natura di fiori e colliers, con in testa il copricapo nazionale, un piccolo cappello di paglia, ce ne dà una immagine molto mondana: «insomma l'abbigliamento delle nostre villanelle di melodramma è la fedele immagine delle contadine di queste contrade».

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