Le feste popolari
Importanza politica delle feste
Le feste popolari, esca per la benevolenza dei sudditi che le gerarchie civili ed ecclesiastiche seppero sempre far ben fruttare, occupano un posto di rispetto nei resoconti dei viaggiatori. Le feste cittadine più censite sono, in campo religioso, la festa di S. Giovanni Battista e le processioni; in quello civile, le mascherate di carnevale e i palii tradizionali o altre corse: di cavalli, di carri.
Feste religiose
Montaigne nel 1581 apprezzerà moltissimo durante i festeggiamenti in onore di S. Giovanni Battista gli spettacoli delle sfilate, delle processioni, della corsa dei cocchi e li giudicherà «migliori» di tutti quelli che aveva visto in Italia. Smollett (1765) a sua volta rimane colpito dalla processione in onore della Vergine Maria, composta da ragazze vestite di lunghe tuniche viola, dalla folla dei penitenti vestiti di saio e dai monaci «che trascinavano crocifissi urlando litanie». La scena, piuttosto bizzarra, si chiude sulla immagine della Madonna «coperta di una profluvie di gioielli falsi, il volto roseo e imbellettato, i capelli crespi e arricciati sulle punte all'ultima moda». Valéry (1828) parlando della festa di S. Lorenzo come «una delle feste nazionali dei fiorentini», dipinge l'ambiente festaiolo molto decaduto rispetto ai secoli passati e cita le corse dei berberi («cavalli Barberi»).
Feste profane
Gibbon (1764) si sofferma invece a descrivere le corse dei carri, giudicandole peraltro di «poca nobiltà e anche minore emulazione» a causa del fatto che i cavalli erano tutti della Posta. Ammira però lo spettacolo della folla assiepata per assistere alla corsa, che si allineava su balconi, finestre, persino sui tetti. La corsa, fatta da «quattro carri aperti su quattro ruote con la parte posteriore arrotondata a conchiglia», consisteva in un triplice giro della piazza, il cui spazio era tuttavia troppo ristretto per permettere ai cocchieri di riguadagnare il vantaggio perduto. Spence racconta del carnevale, un periodo fuori regola in cui, i nobili nelle carrozze e il popolo a piedi, si riuniscono in una grande piazza dando luogo ad uno spettacolo vario e buffo, in cui turchi e cristiani e imperatori e spazzacamini si dividono la carrozza o si danno il passo.
Occasioni speciali
Lalande (1765) si distingue rispetto agli altri viaggiatori soffermandosi a lungo sul gioco del calcio, descrivendo la pompa delle sue cerimonie, riservate a occasioni di speciale importanza. Si tratta della contesa fra cinquantaquattro giovani gentiluomini, la cui parte si individua da colori e bandiere, che si contendono il pallone cercando di «farlo andare oltre le barriere dei loro avversari e se vi riescono, la partita è vinta». A quel punto, racconta Lalande, inizia la lotta per impadronirsi del campo avversario sostenuta dalle grida e dagli incitamenti del pubblico, e delle dame in particolare. Anche Caylus (1715) annota di una festa normalmente tralasciata, quella della sera del due agosto in cui a Firenze illuminano il Duomo e parecchie torri e sparano i fuochi d'artificio per commemorare la presa di Siena. De Brosses (1740) ci presenta lo scenario, anch'esso di rado raffigurato, del teatro dei combattimenti di animali, e del serraglio, di cui descrive «una leonessa che riporta le cose come un barbone, una tigre di smisurata grandezza e bella come un angelo, con due tigrotti del peggior carattere che si possa immaginare». La presenza dei serragli, nei quali male alloggiavano gli animali esotici provenienti da diversi paesi, raffigurati dai pittori e studiati dagli scienziati, era un dato caratteristico della città che ne doveva sopportare anche il tanfo aleggiante, a detta di diversi viaggiatori.
Le feste della campagna
Un settore a parte è quello dedicato alle feste della campagna, nel quale il racconto del calendimaggio occupa un posto a sé. Castellan (1804), protagonista di un bozzetto agreste, si trova trascinato nella danza intorno all'albero addobbato per la festa di Calendimaggio e ascolta le leggende su Carlomagno e i doni che elargì a Calendimaggio e Ferragosto, Befana, Mezza Quaresima, suoi fratelli e sorelle. Fra gli altri la descrive De Brosses: «Cinque o sei fanciulle di quattordici o quindici anni, molto ben agghindate e le più graziose del villaggio, si riuniscono insieme e vanno a cantare di casa in casa per augurare a tutti un allegro Maggio. E le loro canzoni sono composte di un grande concerto di voci di cui la maggior parte sono le più piacevoli del mondo. Esse si augurano che si gioisca dei piaceri della giovinezza e insieme di quelli della stagione. Che si abbia sempre uno stesso amore alla sera e al mattino. Che si possa vivere fino a centodue anni. Che tutto ciò che si mangia si possa convertire in zucchero e olio. Che non si faccia uso di abiti o merletti, che la Natura sia sempre ridente e che la bontà dei suoi frutti possa sorpassare la bellezza dei suoi fiori».