Paesaggi
La 'posizione' delle città
Un'informazione che il viaggiatore non sacrifica quasi mai è quella sulla 'posizione' delle città che si accinge a visitare. L'idea di inquadrare, fotografare, sintetizzare i dati salienti del luogo di nuova descrizione, è un'esigenza sentita da tutti i viaggiatori, spesso anche da coloro che complessivamente si dimostrano insensibili alla cornice esterna della loro visita. Per questo motivo, sarà possibile trovare indizi di paesaggio nelle pagine di presentazione della nuova città.
Nel caso di Firenze poi, si tratta di un passaggio quasi obbligato. Il punto di vista della veduta cambia secondo il percorso di provenienza, arrivando da Bologna o da Arezzo o Pisa, oppure risalendo da Roma via Siena. Uno degli esempi «più ampi e anodini - da vero antesignano della guida turistica moderna -» (Brilli, 1987) è quello offerto da Rogissart (1701). In esso compaiono tutti gli elementi (le montagne che fanno da pareti alla valle punteggiata di ville, il fiume Arno che attraversa la pianura tagliando la città in parti uguali) che poi variamente rimescolati condiscono descrizioni anche più romantiche, come quella di Lady Montagu: «non potete figurarvi una posizione più incantevole di quella di Firenze. Essa è adagiata in una fertile e ridente valle, bagnata dall'Arno che scorre attraverso la città».
Il paesaggio collinare vero protagonista della descrizione di Firenze
La città, perciò, si rivela agli occhi dei viaggiatori come la meta finale di un percorso collinare, esso stesso protagonista della descrizione. In effetti, come dice Brilli, «iniziato già ai tempi di Boccaccio, l'elogio appassionato delle colline fiorentine è ormai di rado assente nel Settecento dalle pagine dei diari di viaggio, per divenire col tempo quasi esercitazione retorica consueta».
Ne sono un esempio le pagine di Smollett (1765), che rimane incantato dalla campagna «deliziosa» tra Pisa e Firenze: «tutti gli alberi sono coperti da viti e grappoli maturi, dorati o porporini, che pendono da ogni ramo, nel modo più esuberante e romantico». Per Smollett, alla poesia suscitata dalla vista si aggiunge la produttività: sostituendo i filari «si risparmia il terreno del campo per il grano, erba o altro prodotto». Lo scozzese si distingue nel panorama dei laudatores anche per le considerazioni molto realistiche sul fiume Arno: «questo fiume, di pochissima importanza rispetto alla quantità d'acqua che contiene, sarebbe incantevole e poetico se l'acqua fosse trasparente; invece è sempre fangosa e torbida». L'attenzione concreta di Smollett testimonia che, nella messa a fuoco dell'habitat collinare, operata con lenti graduate secondo le più diverse ottiche e disposizioni d'animo, l'azione dell'avvicinamento segna sempre un aumento di bellezza, ma spesso anche di 'economicità'. Sebbene non ci si trovi più immersi nella fertile esuberanza della campagna bolognese, quella fiorentina è ridente, variegata, l'immagine stessa della pulizia, del benessere, il frutto di un continuo impegno al miglioramento delle tecniche produttive. Così Burney (1770): «a sei miglia da Firenze, la campagna è bellissima fiancheggiata da alte montagne, fertili e verdeggianti. Non c'è palo di terra che sia lasciato incolto, questa regione appare la più ricca che abbia vista in Italia».
Non a caso, un corposo paragrafo che riguarda le colline è rappresentato dalla descrizione del territorio, del mantello vegetale e della produzione agricola e frutticola. Essa va a carico di quell'ammirazione per il paesaggio di Toscana che si affermerà, sul finire del XVIII secolo, come «paesaggio esemplarmente italiano, originario, graficamente stilizzato e di cromatismo quasi estenuato, da contrapporsi a quello antico di Roma e a quello mediterraneo del profondo sud» (Cusatelli, 1993).
Da un punto di vista propriamente scientifico, diventano un punto di riferimento ineludibile gli studi di Giovanni Targioni Tozzetti, molto apprezzati per esempio da Lalande (1765), in cui veniva descritto con grande competenza l'ambiente naturale toscano e veniva esposta una teoria circa la natura e la formazione delle colline (Bossi, 1993).
L'immagine di Firenze dall'alto
Restituita l'immagine di Firenze circondata dalle colline, quest'ultima viene spesso replicata con un'inquadratura dall'alto, una moda tipicamente settecentesca che consiste nell'ammirare la bellezza della piana, costellata dalle case di campagna e restituire la silhouette della città da quell'osservatorio privilegiato. Celebre l'entusiasmo di De Brosses (1740) che, non appena giunto in città, va dritto al campanile di Giotto da dove può osservare bene come gli Appennini si dividono in due braccia e la pianura forma una specie di golfo, sul fondo del quale è situata la città. Pianura e costa del mare sono popolate da «un numero incalcolabile» di ville, «aggiungete a ciò la bellezza della campagna e il corso dell'Arno che la attraversa; mi darete ragione se dico che non è una visione consueta». A. C. Valéry (1828) cita le alture del giardino di Boboli come luogo panoramico apprezzato dai contemporanei, anche se, per quanto lo riguarda, predilige il casino di uno dei suoi compatrioti, monsieur Leblanc.
Inquadratura di altre città
Anche se, come sempre, Firenze fa la parte del leone, l'idea del ritratto sintetico della città messo a fuoco con più o meno studiata precisione partendo dal territorio circostante, è radicata nelle abitudini visive e scrittorie del viaggiatore. Simili descrizioni perciò, riguardano anche altre città toscane. Alcuni esempi.
Per Misson (1688), Lucca è situata al centro di una piana fertile, che può avere quindici o venti miglia di estensione ed è fittamente abitata. Gibbon (1764) sceneggia meglio l'improvvisa rivelazione della città: «da Firenze a Pistoia si attraversa per venti miglia una bella pianura [...], oltre Pistoia il paese si restringe di colpo e si entra tra gole e strette di montagne difficilissime. Presto, però, la scena si fa più ridente; si esce da queste gole per entrare in una valletta da cui le montagne si scostano di mano in mano che ci si inoltra, e si aprono alla fine per formare una bellissima conca nella quale si trova la città di Lucca».
Cambiando inquadratura, per Barthélemy (1755) «niente eguaglia in bellezza quella vallata che è di fronte a Cortona, e che prende il nome dalla Chiana, piccolo fiume da cui è bagnata. Occorre immaginarsi una pianura a forma di rettangolo, di cinquanta-sessanta miglia di lunghezza e dieci di larghezza, attraversata da corsi d'acqua coperta di alberi disposti in file; essa termina a levante con il lago di Perugia ed è circondata sugli altri tre lati da rigogliose colline che in lontananza si addossano alle montagne dell'Appennino».