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Il viaggio nelle arti visive

Un primato raggiunto a fatica

Le testimonianze visive dell'arte 'invadono' la città, sia negli esterni - edifici civili o religiosi che siano - sia negli interni di chiese e palazzi, sovraccarichi di testimonianze, architettoniche, figurative, scultoree. Questa evidenza quantitativa, per noi primato di qualità indiscutibile, si è palesata in tutto il suo valore non senza fatica lungo i secoli, incontrando oppositori e scontrandosi con concezioni artistiche che ne negavano l'importanza.
E' vero che almeno dalla metà del Cinquecento Firenze è certamente meta ambita dagli artisti stranieri per la conoscenza diretta del Rinascimento, che, sebbene contasse i suoi esemplari maturi alla corte papale, era nato nella capitale del granducato. Peraltro, l'organizzazione delle arti nel principato mediceo, con la chiamata da parte di Cosimo I di artefici forestieri per ampliare la gamma dell'industria artistica di corte, contribuiva non poco a questo flusso. Già da allora perciò, nonstante il primato di Venezia e Roma, Firenze già cominciava ad attirare la curiosità dei forestieri: per il livello delle sue collezioni allestite nella galleria degli Uffizi, per quel vero museo di scultura all'aperto che era Piazza della Signoria, per la fama delle splendide feste.
Ma perché l'eccellenza artistica della Toscana maturi nelle coscienze degli amatori d'arte che la visitavano, bisognava che maturassero altri interessi e che dell'Italia, oltre che il Rinascimento, si andasse a scoprire anche il Medioevo, l'arte, come è stato detto, dei «primitivi» (Previtali, 1964). Il posto che spettava ai primitivi italiani nella cultura corrente dei viaggiatori - con riferimento al secolo d'oro, quel XVIII secolo centrale nella moda del Grand Tour - era veramente di infimo rango. Affrancarlo da un giudizio limitativo non fu un processo semplice né rapido. Al coro dei viaggiatori che denigravano senza mezzi termini un'arte ritenuta appunto 'primitiva' e non degna, sembravano opporsi le voci di quelli che ammettevano all'arte gotica un certo numero di buone prove (tipico l'apprezzamento per il Duomo di Firenze, come quello di Montesquieu - 1728 - che lo reputa «una delle più belle prove che l'architettura gotica abbia potuto produrre») e una sua rispettabilità. Ma anche in questi casi, è stato osservato (Previtali, 1964), «la misura del riconoscimento relativistico [...] si limitava all'opinione che essa fosse appunto il 'gusto dell'ignoranza'». Era perciò un riconoscimento, diciamo così, condiscendente, che non significava una vera comprensione. Perciò, quando in qualche pagina emergeva, inaudito, un giudizio positivo su architettura o, più difficilmente, su pittura o scultura dei secoli passati, è facile rintracciarne l'origine in qualche «tradizione elogiastica locale», come nel citato caso dell'apprezzamento per il Duomo di Firenze da parte di Montesquieu: nel Carlieri del Ristretto della cose più notabili di Firenze (testo italiano notoriamente tra i preferiti nella biblioteca del filosofo) tale monumento era difatti valutato positivamente. Previtali nota a conferma di questo assunto che «i monumenti più apprezzati e discussi non sono, in genere, i più belli o i più importanti o quelli che si trovano nei centri principali, ma piuttosto quelli ubicati in città e paesi che non avevano niente di più moderno da offrire all'ammirazione del turista: così si parla di Giotto a Padova ma non a Firenze, si tralasciano i primitivi a Bologna e perfino a Siena, ma non a Pisa» (Previtali, 1964).
Per fare un esempio, Edward Gibbon, che nel 1764 trascorse ben tre mesi a Firenze (pur rammaricandosi, nella scrittura, di non averle dedicato troppa attenzione) mentre continua ad ignorare il medioevo ed a giudicarlo con sufficienza reputando «brutte» le pitture di Giotto, d'altra parte non sembra toccato dall'incipiente reazione contro il barocco che cominciava a farsi strada in alcuni viaggiatori dell'epoca. La sua posizione, personale ma condivisa in buona sostanza da molti viaggiatori contemporanei, mostra le complicazioni di una storia della ricezione che faticò a sostituire un criterio evolutivo ad uno di esclusivismo estetico basato sui canoni solo contemporanei di cui disponevano, ai loro tempi, coloro che guardavano.

Come raccontare l'arte

Nell'affrontare il capitolo dell'arte, capitolo vastissimo per chi scrive e talvolta addirittura sconfortante per chi legge, si ponevano inoltre diversi problemi di ordine metodologico, la cui risoluzione - più o meno funzionale e letterariamente riuscita - aveva un gran peso nel successo del libro di viaggio, sia nell'immediato sia nella sua fortuna postuma poiché ne decretava la leggibilità. Come 'raccontare' tutto quello che si vede? La molteplicità degli elementi richiede un'organizzazione espositiva e soprattutto un'evidenza plastica cui non sempre la parola si presta.
Ai viaggiatori dotati di indole artistica qui veniva in soccorso il disegno, più eloquente delle parole, sia come alternativa sia, più spesso, come supporto alle parole: una sorta di alter testo esemplificativo. Anche ai viaggiatori sprovvisti di talento ma provvisti di denaro, artisti di più o meno chiara fama potevano venire in soccorso, sebbene la mediazione altrui richiedesse necessariamente di sacrificare in parte la propria percezione.
Ma al di là del supporto grafico restava il problema della scelta organizzativa del testo. Gli autori adottano soluzioni diverse, legate, piuttosto che alla preparazione e competenza di chi scrive (del resto quasi sempre abbastanza approfondita) alla competenza dei destinatari cui si intendeva rivolgere il proprio scritto, agli intenti, divulgativi o meno, che i viaggiatori ambivano raggiungere con il proprio contributo.
C'è chi affrontava il Grand Tour precisamente a questo scopo: vedere, possibilmente apprendere, riferire. Sono gli accademici, gli intellettuali, gli artisti che si indirizzano, spesso per lettera, ai sodali restati in patria. In questi casi la descrizione fa uso di un linguaggio tecnico e chi scrive esprime il giudizio, di approvazione o biasimo, condiviso già in partenza da chi legge. L'autonomia delle opinioni era limitata in partenza dagli schemi e dai suggerimenti che si intendevano con la vista piuttosto confermare che sconfessare.
C'è chi scriveva con ambizioni didascaliche, scontrandosi, nell'affrontare il tematismo arte, col problema dell'estensione oltre che della precisione. La soluzione più pedante è quella dell'elenco (ordinato quasi sempre spazialmente, a seguire il movimento realizzato da chi ha visto o una direttrice dichiarata all'inizio, per esempio dal lato est al lato ovest, con molte possibili varianti). In esso possono trovare posto, tutti insieme o singolarmente (la scelta non è sempre sistematica, anzi): autore dell'opera, titolo dell'opera, soggetto dell'opera, caratteristiche tecniche, giudizio di chi scrive, aneddoti che riguardano l'opera, e, a complicare le cose, ognuna di queste voci può essere a sua volta indagata più a fondo. Oltre alla sazietà invincibile che un simile metodo ingenera nel lettore, si presenta in questi casi il problema, allora come oggi, delle variazioni di collocazione nelle collezioni, che confondevano il neofita del viaggio con in mano un Lalande, poniamo, quando non trovava lì dove era stato indicato quel tal quadro da lui tanto atteso. Un'eccezione a questa regola è il libro di viaggio di Deseine (1699) che applica il criterio elencativo piuttosto alla 'storia' delle arti che ai singoli esemplari, che poi ugualmente cita ma senza indugiarvi a lungo. Queste le premesse di un inventario di nomi abbastanza disarmante (offerto peraltro in ottica biografica più che critica): «la quantità di belle pitture che si vedono a Firenze è un buon motivo per fare una piccola enumerazione dei suoi migliori pittori e scultori [...] di modo che conoscendo il tempo nel quale hanno lavorato si possa comprendere meglio il merito della loro arte».
Soluzione intermedia tra questa e quella dell'ellissi, pur praticata da alcuni scrittori soprattutto se inclini ad un tono leggero, di tipo, diciamo così, 'romanzesco' (così Smollett, 1765: «è anche superflua la menzione delle mie visite alla famosa Galleria di antichità, alla Cappella di S. Lorenzo, a Palazzo Pitti [...] tanto più che tutte queste cose sono già state minutamente descritte da una ventina di autori diversi; perciò non vi annoierò con la ripetizione di monotone osservazioni»; così in Thomas Jones (1776-1778) che nei suoi Memoirs cita Uffizi, Palazzo Pitti, Annunziata solo per dire di esserci stato, l'approccio è quello della selezione proposta dal viaggiatore che riporta, a seconda, 'ciò che è degno di nota', 'ciò che lo ha maggiormente interessato', comunque un suo personale percorso volutamente e dichiaratamente parziale. Questa opzione, benché certo opinabile in alcune scelte di gusto, risulta, anche in ottica di moderne teorie della cura museale, la più efficace e la più attuale.

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