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Il dibattito sul Grand Tour: sostenitori e oppositori

Nascita dell'idea in Inghilterra

La nascita di un'idea del viaggio come strumento di formazione, come mezzo di scambio e commercio intellettuale che, tramite il confronto, fa nascere e progredire la coscienza critica e la consapevolezza del viaggiatore, ha origine in Inghilterra e da lì si irradia. La predisposizione della cultura inglese all'empirismo determina la preferenza per l'esperienza diretta in luogo dei dogmatismi del sapere di cui la tradizione scolastica medievale era stata campione.

I precetti per un buon viaggio

I precetti baconiani furono la base filosofica che diede al viaggio di istruzione degli inglesi il primato cronologico e l'appoggio incondizionato della Corona. Il saggio di Bacon intitolato Of Travel (1625) contiene già, in modo completo, tutto il corredo di motivazioni e buone norme che - con sorprendente successo editoriale - saranno poi specificate, arricchite, ripetute, riorganizzate in una manualistica fiorente che da sola basterebbe a dar conto del fenomeno. Come capostipite di quella precettistica dell'organizzazione materiale dei viaggi, in cui saranno indicate minuziosamente la durata (che all'inizio era stabilita in tre anni), il corredo materiale e culturale del viaggiatore, i luoghi di sosta e le molte altre indicazioni necessarie, Bacon fece scuola. Egli consigliava che il giovane destinato al Grand Tour avesse una certa conoscenza della lingua del paese di destinazione, che vi si recasse provvisto di guide cartacee e di un tutore; raccomandava che tenesse un diario, che non si trattenesse troppo in una stessa città e che, durante il soggiorno, cambiasse più volte residenza in modo da impratichirsi negli spostamenti, sempre provvisto di lettere di presentazione per potersi inserire nella buona società.

L'altra faccia della medaglia

Questi erano i buoni precetti per un utile viaggio. Ma gli oppositori guardavano l'altra faccia della medaglia: l'Italia, dopotutto, era anche la patria di Machiavelli, cioè degli atteggiamenti cinici e della liceità di qualsiasi mezzo pur di raggiungere il fine; la patria del cattolicesimo, in cui lo sfarzo esibito dalla Controriforma poteva abbagliare i non cattolici (oltre che costituire il pericolo, per chi non era protetto dalla carta diplomatica, di incorrere nella rete dell'Inquisizione); un luogo dove la libertà di costumi era pericolosa. Non solo. Le molte pagine dei resoconti dicevano di un paese reale ben diverso da quello mitico che i viaggiatori idealizzavano. Eppure non furono queste ombre a creare la forte corrente dei dissidenti rispetto ad una pratica che sollevò, come è proprio di tutte le mode, anche moltissime obiezioni. Di fatto, la mutata situazione della penisola, il suo diminuito (ma mai demolito) prestigio quale faro della formazione umana e culturale per la giovane classe dirigente, non sarebbero bastati ad inficiare il principio che alimentava il fenomeno europeo: il viaggio istituisce il confronto e, di per sé, genera conoscenza.

Ma è piuttosto su questo versante 'filosofico' che si appuntavano le critiche più perniciose, quelle che fecero realmente da contrappeso nell'opinione pubblica, pur non incidendo realmente sui numeri del flusso itinerante. La voce dissidente, accogliendo in un dossier gli sparsi indizi che pure trapelavano dalle relazioni, ne faceva la propria arma ideologica. Non tutti i tutors, infatti, erano persone degne di fede, molti anzi sperperavano i denari messi a disposizione per il viaggio di istruzione lesinando sulla 'istruzione' e concedendosi lussi di ogni tipo. Non tutti i giovani, d'altra parte, erano così desiderosi di compiere il loro apprendistato artistico e culturale piuttosto che farsi sedurre dalle sirene del teatro, dalla promiscuità delle locande, dalla vita fastosa e irregolare di Roma, dalla 'avventura'. Come possono realizzarsi conoscenza e apprendimento in condizioni così poco propizie, sostenevano gli oppositori? E, soprattutto, quale guadagno mai non può ottenersi a casa propria, laddove i costumi scioperati delle altre nazioni possono solo fuorviare il giudizio e oscurare l'intendimento? Ancora nel 1781 la questione restava aperta se John Moore nel suo A View of Society and Manners in Italy scriveva: «Si ritiene che per mezzo di una precoce educazione all'estero, tutti i ridicoli pregiudizi inglesi potranno essere evitati. Questo può esser vero: ma chi ci garantisce che altri pregiudizi, forse altrettanto ridicoli, e molto più dannosi non mettano radici?».

La posizione dell'Inghilterra

Sebbene le 'radici' del Grand Tour siano inglesi, fu proprio dall'Inghilterra che arrivarono anche le maggiori obiezioni. L'altalenante prevalere dei pro e dei contra fecero del viaggio in Italia, almeno per tutto il Cinquecento, un mito vagheggiato e insieme temuto. Una fortuna contesa, quella del Grand Tour, che vincerà nel secolo successivo ogni resistenza contemporaneamente diffondendosi, in modo massiccio, anche negli altri paesi europei.

La posizione della Francia

Anche nella Francia del Cinquecento si contano pionieri del viaggio in Italia, dato che molti dei migliori artisti la scelgono come luogo di elezione per i loro studi. Ma anche qui il fenomeno si radicalizzerà nel secolo successivo, cambiando però fisionomia: da iniziativa privata a programma di Stato, come dimostra la fondazione dell'Accademia di Francia a Roma nel 1666, atto solenne della consacrazione dell'Italia come fonte cui abbeverarsi, punto di sosta e aggregazione per gli artisti di tutta Europa. Curioso destino, in questo caso, quello del viaggio, che promuove il suo esatto contrario cioè l'esigenza della stanzialità.

Superamento della polemica nel 'secolo d'oro'

Il 'secolo d'oro' dei viaggi mette fine al calore polemico della diatriba. Essa resta o come fatto biografico del singolo viaggiatore o come controversia determinata da fattori contingenti, quale ad esempio la fortuna editoriale dilagante degli stampatori di Travel Book. Soprattutto in Inghilterra, il fenomeno editoriale fa infatti scattare a più riprese l'antidoto dell'ironia e della parodia.

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