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Gli ultimi Granduchi medicei

Ferdinando II (1621-1670)

L’inizio del Seicento è segnato per Firenze e la Toscana da una crisi economica che trova un suo corrispettivo anche nel resto d’Italia e d’Europa. Ferdinando II si trovò a fare i conti con un bilancio in seria difficoltà, amministrato per un settennio da sua madre, Maria Maddalena d’Austria, e da sua nonna, Cristina di Lorena, essendo il futuro granduca orfano di padre dall’età di undici anni. Ferdinando si contornò dell’aiuto dei suoi numerosi fratelli, il valoroso Mattias, il cardinale Giovanni e il principe Leopoldo, il vero mecenate della famiglia cui si devono molti dei capolavori tuttora in mostra nei musei cittadini. Favorì i traffici marittimi dando impulso al porto di Livorno e prese alcune iniziative economiche soprattutto nel settore della politica agraria ma il paese non riuscì a far fronte alle implacabili carestie, né il granduca, pur amato per la sua mitezza di carattere, possedeva la tempra necessaria per mantenere la Toscana indipendente dalle potenze straniere e dall’ingerenza della Chiesa.

Ferdinando è passato alla storia piuttosto che come statista come uomo di scienza: protettore del Cimento fondato dal fratello Leopoldo, scienziato lui stesso avendo avviato varie attività di sperimentazione, difensore di Galileo (che pure non riuscì a salvare dal Sant’Uffizio).

L’età di Cosimo III (1670-1723): il declino della dinastia

La situazione non migliorò con il figlio di Ferdinando, Cosimo III, anzi il vero declino della dinastia si fa coincidere proprio con il governo del penultimo Medici. Pur avendo in gioventù viaggiato molto, in Francia, Olanda, Portogallo, Spagna, in Inghilterra con Lorenzo Magalotti estensore del testo della relazione ufficiale del viaggio, oggi conservata alla Laurenziana, non apprese dal confronto e comunque non seppe aggiornare il granducato sul modello delle altre corti europee. Incline al bigottismo religioso, inetto dal punto di vista della iniziativa economica, mentre si istituiva un Ufficio del Pubblico Decoro, si osteggiava l’attività della laica Università di Pisa e il clero assumeva in toto il controllo della istruzione, a Livorno si assisteva per la prima volta a forme di discriminazione nei confronti dei cittadini di religione ebrea e il riflesso negativo che questo causava sui traffici commerciali era peggiorato dalla iniqua tassazione inflitta ai contadini.

Cosimo morì dopo cinquantatrè anni di regno con la preoccupazione, del resto non infondata, della successione dinastica del regno. Il figlio primogenito, il gran principe Ferdinando, sposato a Violante di Baviera non ebbe figli né li ebbe Giangastone, destinato alla successione, con la principessa di Sassonia.

Gian Gastone (1723-1737)

L’esordio politico di Giangastone sembrava dover sconfessare l’attività paterna che aveva fortemente indebolito il granducato, lasciandolo in una situazione di declino e di prostrazione. Di fatto l’indolenza se non la depravazione ebbero la meglio su di lui: la dinastia si estinse e il regno fu consegnato nelle mani dei Lorena.

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